ROBERT
MARZO 2024
CHI E' ROBERT?
Robert Handen. Ma anche Hauden, Hander, Hayden, Houdin, Uban; in qualche documento, semplicemente, “il francesino”. Il mistero che circonda la vita di uno dei partigiani morti nell'Eccidio di Scalvaia comincia proprio dal suo nome e dalla sua grafia incerta. Handen, Hander, Hayden, Hauden, Houdin: tutte diverse interpretazioni di un nome scritto a penna, con lettere zoppicanti o fraintendibili. Uban invece risuona nell'aria, come un documento sonoro pervenutoci in forma scritta: è il suo nome di straniero pronunciato alla maniera incerta dei suoi compagni italiani. Se fosse così, se dovessimo scegliere una variante tra le tante, dovremmo preferire “Houdin”, che in francese si legge in modo simile: “Hudàn”. L'ipotesi è resa più affascinante ancora dal fatto che quello specifico cognome, relativamente poco diffuso in Francia, derivi da Houde, versione francese del tedesco Hild, che significa “combattente”. Le ricerche negli archivi disponibili online però, qualsiasi grafia si scelga, non portano a nessun tipo di indizio utile. Possibile che di questo giovane uomo, morto in terra straniera per un'idea, si possa sapere per certo solo quanto ci è giunto riguardo la sua fine violenta? E se avesse fornito un nome falso, come del resto era prassi anche tra i partigiani forestieri? Chi era veramente Robert?
Le poche notizie disponibili vengono da libri e articoli che riportano le testimonianze, talvolta non concordanti, dei compagni partigiani con cui il ragazzo ha combattuto. Nato a Parigi nel 1926 da François, per alcune fonti orfano di padre, per altre orfano del tutto, Robert lavora come meccanico in un'officina vicino alla Manica, nella Francia occupata, quando viene prelevato dai tedeschi per essere tradotto in campo di concentramento. Forse, ma non potendo verificare parliamo di congetture, si trattò di un reclutamento forzato nell'ambito del Service de Travail Obligatoire, imposto dai tedeschi per raggranellare manodopera da inviare in una Germania carente di operai a causa dello sforzo bellico: d’altronde, fu una legge odiosa che spinse tanti giovani tra le file della Resistenza. Fatto sta che Robert, in circostanze che non conosciamo, riesce a fuggire dalla detenzione, attraversa in qualche modo le frontiere del suo paese e raggiunge la Toscana, dove entra in contatto con i partigiani della “Spartaco Lavagnini”. Dice loro di essere prigioniero di guerra, ma le circostanze specifiche non ci sono state riportate. Dai documenti si evince che Robert è in forze alla Brigata dall'11 gennaio del 1944, ma la militanza ha breve durata, e si conclude violentemente a seguito dell'azione fascista di rappresaglia avvenuta sul Monte Quoio l'11 marzo dello stesso anno.
I fatti avvenuti nei boschi di Scalvaia e sue conseguenze sono noti, ma giova riassumerli velocemente. In risposta all'uccisione del milite fascista Poerio Neri e al ferimento del commerciante Elamiro Magrini, conseguenti all'attacco partigiano alla macchina del capo della Provincia di Grosseto presso il fosso dell'Acqua Nera, vicino a Scalvaia, la milizia fascista circonda e attacca il campo partigiano di stanza sul Monte Quoio, localizzato tramite la delazione di spie. Si tratta di una sorta di centro di reclutamento in cui confluiscono principalmente giovani renitenti alla leva, in attesa di essere indirizzati verso i vari distaccamenti.
Sono male armati e in netta inferiorità numerica: quando i fascisti li sorprendono alle prime ore del giorno, l'epilogo appare di facile previsione. Nello scontro a fuoco che segue l'accerchiamento viene ucciso Giovanni Bovini, mentre Robert, scagliatosi contro i fascisti con due bombe a mano e un coltello tra i denti, sperando di coprire la ritirata dei compagni, viene ferito orribilmente all'addome da una scarica di mitra. Tutti gli altri vengono catturati e fatti marciare verso Scalvaia, con il francesino ferito trasportato alla bene e meglio su una scala a pioli. Chiede il conforto di un po' d'acqua, che non gli viene concesso. Giunti al cimitero di Scalvaia, distante dal paese meno di un chilometro, uno dei prigionieri decide di collaborare con i fascisti e viene condotto a Grosseto. A poco vale l'interessamento del parroco di Scalvaia, Don Antonio Sàrperi, che subito accorre al cimitero tentando di evitare il peggio: dieci ragazzi vengono fatti salire su un camion con la promessa di trarli semplicemente in arresto, per poi farli scendere nel punto in cui fu ucciso Poerio Neri e fucilarli. Dieci per vendicarne uno. I loro nomi: Alizzardo e Alvaro Avi, Lilioso Antonucci, Ezio Filippini, Aldo Mari, Azelio Pieri, Cesare Borri, Faustino Masi, Ermanno Fabbri e Solimano Boschi. Dopo diverse ore, i prigionieri restanti vengono portati a Siena, alla Caserma Lamarmora, dove sono sommariamente processati. Quattro di loro sono condannati alla pena capitale: Adorno Borgianni, Primo Simi, Tommaso Masi e Renato Bindi vengono fucilati due giorni dopo. Robert è invece trasportato all'Ospedale Santa Maria della Scala di Siena a sera inoltrata, quando le sue condizioni sono ormai disperate. Spira all'alba del 12 marzo dopo aver ricevuto i conforti religiosi. Aveva diciotto anni.
Non è facile restituire un'immagine a un corpo di cui è rarefatta, disseminata, persino la memoria. Robert fu seppellito al cimitero del Laterino senza che nessuno lo reclamasse, fondendosi per sempre con la terra senese. Cosa sappiamo di quel corpo? Che aspetto aveva? Il partigiano Smeraldo Amidei, che dice di averlo veduto due volte, ce lo descrive come un bel ragazzo dal viso di fanciullo, biondo, di statura normale e ben fatto. Sempre tramite la sua testimonianza, apprendiamo che il professor Venceslao Cesaris-Demel, che accolse il corpo all'Istituto di Anatomia Patologica, lo definì come il più bel giovane che avesse mai visto nella sua carriera di medico. Ancora Amidei: “Forse il mistero che circonda la sua vita ce lo fa vedere ancora più bello, nella sua virile risoluzione, mentre, in quel fatale 11 marzo, andava incontro a sicura morte per salvare i compagni”. Bello e disperato, come gli eroi della letteratura. È a questo punto che trova senso questo progetto espositivo, dove l'artista diventa iconografa e attraverso l'immagine prova a mettere carne e viscere sullo scheletro esile dei documenti. Il viaggio nella ricostruzione della memoria visiva di Robert passa dalla pittura, ma anche dalla terra e dai castagni del Monte Quoio, prelevati con cura dal luogo del rastrellamento e qui trasfigurati in fragili ecosistemi di significato. A ottant'anni esatti da quegli avvenimenti, questa mostra è un omaggio sentito e dovuto a ciò che è stato Robert e a ciò che i suoi ultimi giorni ci hanno restituito, quando mettendo tutto sul tavolo ha aggiunto il proprio tassello al mosaico della Storia.